La radicalizzazione dello spazio politico e la sfida dell'Altra Europa.


di Tommaso Visone 


 

Il riaccendersi del terrorismo e della “jacquerie” con l’inerente richiesta “popolare” di una “stretta” sulle libertà e sui diritti dei cittadini norvegesi ed inglesi, ha segnato un’ulteriore accelerazione nel processo di mutamento a cui il quadro politico europeo è da tempo soggetto. Se a questo si sommano le proteste e le rivendicazioni che hanno attraversato l'Europa, da Madrid a Parigi, da Barcellona ad Atene, unendole al significativo dato che emerge dalle elezioni amministrative in Germania, Francia, Inghilterra, Spagna ed Italia, si vedrà come un preciso trend relativo all’orientamento politico del vecchio continente stia prendendo ineluttabilmente forma. I cittadini europei iniziano ad auspicare e ad appoggiare, attivamente o passivamente, una nuova politica a tendenza "radicale" (ovvero mirante a delle soluzioni “forti” che affrontino alla radice i problemi; un approccio che si oppone a quello “moderato”): la crisi sta progressivamente polarizzando l'opinione pubblica europea divisa su tutto tranne che sul rifiuto del sistema politico ed economico del passato - ad impronta tecnocratico-liberale - e della classe dirigente che l'aveva prodotto e difeso. In questi frangenti l'Unione europea, percepita come una pericolosa entità burocratica e liberista (un paradosso doppiamente vizioso), rischia di essere tra le prime vittime del futuro scenario politico, fatta salva una sua metamorfosi complessiva che ne inveri le virtualità positive. Infatti, con l’incedere rovinoso della crisi, si palesa una precisa questione. Agli occhi dell'opinione pubblica dei paesi europei non è più possibile sostenere un’Unione che faccia pagare ai sistemi sociali di livello nazionale i costi della, pur necessaria, riorganizzazione economica senza garantire ad essi nessuna scelta sostanziale sul piano politico. Si aprono, quindi, due sole strade : o si torna alla completa ed esclusiva nazionalizzazione della politica sociale ed economica (con buona pace del mercato comune, dell’euro, della nostra stabilità e del nostro tenore di vita) o si procede con un salto deciso verso la sovranità comune dei cittadini europei, che consenta a quest’ultimi di costruire democraticamente un’alternativa produttiva, sociale e civile al sistema che sta crollando. Per usare una coppia concettuale beckiana - adoperandola in un quadro teorico diverso da quello dell’ “Europa Cosmopolita” - si può dire che, con l’aggravarsi della crisi, stia finendo il tempo dei “Sia-Sia” e si stia entrando in quello degli “Aut-Aut”.

 

Siffatta problematica non sembra essere stata affatto compresa dalla coppia franco-tedesca e dai rispettivi governi che, facendo strame di una già inesistente Commissione (ma Barroso dov’era nel mentre del vertice franco-tedesco? Non pervenuto), si ostinano a non voler fare seriamente i conti con i problemi del presente riproponendo, di fatto, un direttorio franco-tedesco sotto un, già documentatamente inefficace, velo intergovernativo. In questo modo, con questo miope fare conservatore, contribuiscono a loro volta a far crescere il partito degli euroscettici e a colorare di vernice antieuropea il radicalismo politico in formazione. Tuttavia sotto la chiassosa sicumera mediatica dei vetero-europei e degli anti-europei (che in realtà alimentano il medesimo circolo vizioso, come se si trattasse di due facce della stessa medaglia regressiva) si inizia a delineare l’idea di un’Altra Europa. Tale prospettiva si è andata magmaticamente sbozzando nell'azione degli indignados spagnoli, dei movimenti sociali francesi, degli ecologisti tedeschi, dei blogger europeisti inglesi, nel pensiero di quei liberali che hanno compreso l’importanza della dimensione giuridica e sociale europea, ecc. Per permettere una proficua e coerente ibridazione tra queste idealità occorre tuttavia fornire loro una matrice comune capace di incanalarle in un orizzonte democratico ed istituzionale che vada oltre i limiti dell'attuale multilevel system of government. Occorre infatti far confluire queste legittime aspirazioni e proposte in un unico progetto politico volto a promuovere un'autentica "European Revolution" in grado di fornire una risposta alle drammatiche istanze del nostro tempo: il che può nascere - e sta nascendo - solo dall'incontro e dal dibattito transnazionale tra tutte le realtà movimentiste e politiche che si stanno esprimendo in questo senso. Siffatto indirizzo, altresì, non invalida e non si pone contro i grandi risultati (pace tra i paesi europei, stabilità monetaria, libertà di movimento, diritti di cittadinanza, ecc.) del processo d’integrazione europeo; semmai li rilancia, salvandoli dai rischi di una dinamica politica che potrebbe finire per distruggerli. Infatti - se non si affermerà l'idea di un'Altra Europa e una coalizione europea a suo sostegno - non solo l'attuale Unione, con le importanti conquiste giuridiche, politiche ed economiche ad essa legate, entrerà in una spirale pericolosissima, ma si vedranno, presto o tardi (in parte già si vedono), le forze etno-populiste al potere in molte realtà nazionali dell'Unione, con un effetto regressivo sugli assetti europei e mondiali : basti pensare all’attuale governo ungherese e alla possibilità concreta che una Marie Le Pen diventi Presidente della Repubblica francese.

 

Il liberalismo, in questa delicata fase, dovrà scegliere: o si aprirà alle istanze sociali, comprendendo come la libertà dell'essere umano passi anche dalla partecipazione e dalla tutela sociale o rischierà concretamente di essere spazzato via dai populismi insieme all'Unione europea. In tal senso è importante che l'idea di un'Altra Europa veda la partecipazione di quelle forze liberali che hanno capito come la libertà oggi passi da una riforma delle regole della vita politica e dalla creazione di nuove forme di tutela sociale e di relazione tra i poteri (è decisivo comprendere come il problema del potere investa la società europea con modalità completamente diverse rispetto al passato). Su tale scia l'idea di un'Europa federale potrà arricchire in maniera decisiva la riflessione istituzionale e democratica di tutte quelle forze che, in nome di un'Altra Europa, chiedono oggi riforme sociali, economiche e ecologiche. Portare avanti questo orizzonte propositivo e positivo in risposta a queste legittime istanze creerà l'humus per promuovere una riforma delle regole comuni sul piano europeo e per procedere ad un'ulteriore accelerazione del processo di integrazione politica che abbia come volano e fine la creazione di nuovi strumenti democratici per la risoluzione dei grandi problemi comuni. Non è infatti pensabile, ad esempio, che la scelta sul nucleare sia fissata su base nazionale essendo il rischio ad essa connesso distribuito su base continentale. Non è, altresì, possibile avere ventisette politiche estere, così come è pericolosissimo pensare che i differenti problemi legati ai conflitti d'interesse o alla violazione del diritto all’informazione su base nazionale (Italia, Inghilterra, Romania, Ungheria, ecc.) creino degli effetti solo all’interno dei singoli paesi coinvolti. 

 

Ma la risposta a tali questioni sarà possibile solo alla luce di una proposta politica ed intellettuale complessiva che legittimi una rivoluzione democratica sul piano europeo: è, quindi, fondamentale promuovere, contro i populismi etnocentrici e la vuota demagogia dei governi, un'idea d'Europa che legittimi e sussuma in un unico indirizzo gli esiti alternativi al presente già iscritti nelle possibilità storiche del suo divenire e riscontrabili nelle stesse richieste che si levano oggi a gran voce dalla sua società. Bisogna, quindi, fronteggiare il trend-tzunami della radicalizzazione sviandolo dai suoi esiti più pericolosi e incanalandolo in un bacino progettuale comune al fine di trasformarlo in un’ondata democratica virtuosa.

 

Giunti a questo punto sarebbe di sterile e pilatesco uso comune scimmiottare la “Critica al programma di Gotha” scrivendo “dixi et salvavi animam meam”. Infatti - e lo tenga ben presente il lettore responsabile - si ritiene che non resterà alcun anima senz’accendere una praxis.


26 settembre 2011

 

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